Petrolio russo, la via sbagliata all’embargo

Mentre cerca di capire come gestire il petrolio ed il gas che le arrivano dalla Russia, l’Unione europea si è persa in un labirinto. Ad ogni svolta sembra smarrire la strada un po’ di più, come in questi giorni con le sanzioni sul petrolio.

Tutti concordano che qualcosa va fatto per ridurre i rapporti con i fornitori russi, ma il modo che sembra essere scelto rischia di rivelarsi autolesionista per l’Europa, favorevole al Cremlino e perfetto rendere gli europei invisi al resto del mondo. Sul tavolo dei 27 governi mercoledì a Bruxelles arriva la proposta di un embargo — uno stop all’acquisto — seppure molto graduale. Non è una buona idea, come si è visto in questi giorni: sono bastate vaghe dichiarazioni dei politici europei in questo senso per far salire ancora di più il prezzo internazionale del barile. Che il mercato reagisca così alla prospettiva di un embargo sulla Russia è ovvio, perché l’effetto immediato sarebbe di aumentare la domanda di petrolio (l’Europa deve cercare altri fornitori) e ridurre provvisoriamente l’offerta (la Russia ha bisogno di tempo per trovare altri acquirenti).

La scarsità farà dunque salire i prezzi, anche perché le pressioni europee ed americane non hanno convinto Arabia Saudita, Iran e Venezuela ad aumentare la produzione. La diplomazia occidentale ha incontrato resistenze quasi ovunque e ora uno stop europeo all’oro nero di Putin è destinato a far salire il costo per tutti. Noi europei pagheremmo di più e saremmo malvisti nel resto del mondo. Quanto a Putin, venderebbe a prezzi più alti ad altri parte del greggio che l’Europa non compra più; probabilmente non ne avrebbe danni sul piano finanziario. Al contrario, mettere un tetto (basso) al prezzo che siamo disposti a pagare sui barili russi ridurrebbe le entrate del Cremlino. In questa sporca guerra economica una soluzione perfetta non c’è, è vero. Non per questo bisogna sceglierne una sbagliata.

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